“Alla sera” di Foscolo: una fantaintervista

 

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Ugo Foscolo è il poeta che più mi affascina. Vorrei tanto penetrare nei segreti della sua poetica e soprattutto del suo mondo interiore, così pieno di squilibri e di inquietudini. Un viaggio indietro nel tempo mi riporta alla sua epoca e, finalmente, ho la possibilità di porgli alcune domande per chiarire tutti i miei dubbi e gli interrogativi irrisolti. Alla fine sarà dura tornare al presente…
Qual è, tra i sonetti che hai scritto, quello che preferisci? Perché?
Alla sera senza alcun dubbio, perché mi è stato dettato da un turbamento interiore e dalla trepidazione che provo al termine di ogni giornata.

1184840_10151540588491901_1148334636_nCome hai strutturato questo tuo sonetto? Quali consigli mi puoi dare per comprenderne meglio il significato più profondo?
Puoi dividere il sonetto in due parti: nella prima mi sono soffermato sulla descrizione della sera, del suo aspetto naturale: il cielo velato di nubi leggere, oppure freddo e dal colore grigio cenere che promette tempesta. In entrambi i casi, la sera riesce sempre a infondermi un senso di dolcezza e di pace. Nella seconda parte esprimo invece tutti i miei sentimenti e il desiderio dell’oblio, del silenzio: immagini ricollegabili alla morte.
Mi spiegheresti da che cosa ti è stata suggerita la scelta dei termini?Durante la composizione ho prestato molta attenzione all’utilizzo di ogni singolo vocabolo. Il mio obiettivo era quello di rendere immediato il lato romantico del mio essere, costantemente in bilico tra la ragione e la razionalità, ereditate dalle idee illuministiche, e il sentimento preromantico.th
Quale strategia poetica hai preferito utilizzare nella composizione di questo sonetto? Ho adottato spesso una tecnica particolare chiamata enjambement, dal francese “spezzare”, in quanto una frase non finisce insieme al verso ma si conclude in quello successivo.
E’ evidente che la sera, parte conclusiva della giornata, ti è particolarmente cara. Sapresti dirmi per quale motivo? Nella mia vita piena di delusioni e squilibri, l’arrivo della sera rappresenta per me un antidoto contro tutti i miei affanni e le mie paure. La sera riesce a placare tutte le mie ansie. Segna il passaggio tra il giorno e la notte profonda, rappresenta il limite tra due opposti, che uno degli aspetti del mio lato preromantico. L’oscurità mi attrae per il mistero che porta con sé, avvolgendo l’universo e rendendolo più affascinante. Certo, la sera rammenta l’idea di morte, che per me evoca l’immortalità.
Infatti citi più volte la morte: perché per te è così importante? Personalmente, penso che rappresenti il raggiungimento della pace e di un equilibrio interiore. Solo la morte riuscirà a placare il tumulto delle mie passioni e le ansie del mio cuore. Ne accetto l’idea, però, solo se accostata a quella di sepolcro. Esso è il simbolo e la testimonianza della nostra vita vissuta sulla terra. Le tombe hanno due funzioni principali: mantenere in vita il ricordo di una persona a noi cara e spronarci a seguire le gesta di personaggi importanti del passato, per seguire il loro esempio.
Questo ha a che vedere con il “reo” il tempo. Perché lo definisci in questo modo? Reo per me significa malvagio, è colpevole di scorrere troppo velocemente accorciando sempre più la vita dell’uomo, colmandola di dolore e di tristezza. Insieme al tempo corrono via tutti i tormenti e le tribolazioni che ne derivano, ma anche i ricordi belli o brutti che siano.
Da cosa deriva tutto questo senso di angoscia che trapela dai tuoi versi? 
Ho composto il sonetto nel periodo in cui, dopo la delusione per la firma del trattato di Campoformio, ho iniziato a peregrinare di città in città alla ricerca di una pace interiore che, purtroppo, non è mai arrivata. In quel periodo mi sentivo tradito e perso. Ho visto crollare tutte le mie illusioni: quelle di libertà, di indipendenza e di giustizia. Insieme a loro si è infranto, anche, tutto il mio “lato” illuminista.
Che cosa rappresenta lo spirto guerrier?
Non è certo il mio desiderio di armarmi e combattere, rappresenta invece il desiderio ma anche la smania di evadere da questa società e di ribellarmi all’angustia delle cose. E’ qualcosa che ti arde dentro, ma al tempo stesso ti stravolge. Riesco a placarlo solo attraverso il conforto che mi dona la natura.
Già, la natura…cosa rappresenta per te?
Nei miei sonetti non manca mai un riferimento alla natura, perché essa mi aiuta a idealizzare i miei sentimenti, la uso come specchio in cui rifletto l’anima. Dalla descrizione di paesaggi naturalistici emergono i miei sentimenti più profondi, inondati da una una soave dolcezza o pervasi da un velo di mistero che tanto caratterizza la mia personalità.

G. Bracalenti

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Intervista doppia a…Foscolo-Ortis

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Prendere un treno per il passato e incontrare il celebre Ugo Foscolo a passeggio con Jacopo Ortis, il protagonista del suo famoso romanzo epistolare e un po’ autobiografico. La palla è da prendere subito al balzo, così abbiamo approfittato dell’occasione per risolvere tutti i nostri dubbi sul romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis.  Un’esperienza realmente unica, emozionanteCominciamo allora dall’autore…

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Perché hai scritto questo romanzo? Per raccontare un po’ chi sono stato: una persona delusa dalla realtà , che cerca di rifugiarsi nell’esilio e nella scrittura; infatti Jacopo mi assomiglia molto.

Puoi spiegarci meglio? Cosa pensi della realtà ? La realtà mi sconvolge , non mi trovo bene nel mio tempo, un tempo che cerca di convincermi che io, e come me tutti gli uomini, sia un meccanismo con un ciclo vitale molto breve, destinato a scomparire senza lasciare nessuna traccia.

Emerge questo tuo aspetto in Jacopo ? Sì, molto direi. Lui dopo la delusione del trattato di Campoformio vaga per l’Italia senza trovare pace. Si illude di aver trovato l’amore della sua vita, Teresa, che però lo porterà alla morte .

La maggiore differenza che ti distingue da Jacopo? Lui è stato sconfitto , non ce l’ha fatta a resistere e si è suicidato, mentre io ho resistito.

L’aspetto che invece più vi accomuna ? Certamente il forte pessimismo che ci rende inquieti è costantemente tormentati.

E ora la parola a lui, Japoco Ortis…

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Che ruolo svolgi nel romanzo? Sono il protagonista, la maschera dietro la quale Ugo si cela.

Quali sono gli aspetti più belli del romanzo e quali i più brutti , dal tuo punto di vista? Il più bello è sicuramente quello di aver conosciuto meglio l’interiorità di Ugo Foscolo, mentre quello più brutto è aver sofferto così tanto per Teresa…

Perché lei ti ha fatto soffrire così tanto ? Beh, io sapevo che mi amava e lei sapeva che l’amavo, ma ha scelto un altro e così è diventata la mia donna-Angelo, l’illusione irraggiungibile che mi ha portato alla pazzia del suicidio, quando ho scoperto delle sue nozze con quel borghese presuntuoso di Odoardo.

Cosa pensi di lui? Rappresenta tutta la borghesia arricchita, una classe sociale sempre più potente, ma corrotta e venale.

Veniamo adesso a un tema delicato. Molto forte è il tuo desiderio di libertà, ma cos’è ad ostacolarlo? In una parola: la tirannia .

Ci hai rivelato di aver conosciuto molto bene Ugo. Per finire, perché non ci parli un po’ di lui. Cosa ne pensi? È una persona molto confusa, che non trova un equilibrio tra profondi pessimismi altrettanto grandi ottimismi. È malinconico, ha nostalgia della sua città natale ormai irraggiungibile e ama molto la natura nella quale si rispecchia, anche se nel romanzo sembra perdere la fiducia anche in essa. Che altro dire su di lui? Che ha realizzato il suo sogno, quello di essere ricordato. Ha sconfitto con la poesia la “mortalità” di essere un uomo.

M. Tacconi

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Fantaintervista a…Ugo Foscolo

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Sono a Londra in cerca di un poeta che ha scritto un pezzo di storia della nostra letteratura italiana. Sto per incontrare niente meno che Ugo Foscolo … il mio scopo? Far emergere la sua vita, ma anche le sue idee e il tempo in cui è vissuto, parlando con lui delle sue poesie.

Quali sono tra tutte le tue poesie, odi e sonetti, quelle per te più significative e importanti e che in qualche modo ti rappresentano meglio, nel tuo carattere interiore intendo?
Allora… tutti i miei componimenti poetici sono uno specchio del mio carattere, ma forse il sonetto a cui tengo di più è ”In morte del fratello Giovanni”. Ecco, forse questo sonetto è quello che mi rappresenta di più e lo cito non solo per questo motivo, ma anche per lodare il mio caro fratello scomparso.

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Che emozioni provi nel ripensare a quei tempi spensierati in cui trascorrevi giornate intere con lui?
La cosa più spontanea che mi viene in mente è la nostalgia… ma dietro a questa emozione ce ne sono tante altre: spensieratezza, gioia di vivere, felicità… io quel periodo fanciullesco lo definisco il mio periodo dei sogni. La mai testa e il mio cervello vagavano nel vuoto, non avevo nessun problema e quindi mi potevo concentrare sul futuro e fantasticare…
Quei sogni, che facevi da fanciullo, corrispondono alla vita che ora ti ritrovi a fare?
Questa domanda mi fa commuovere perché la mia vita è stata una delusione. Il mio futuro è stato il contrario di quello che io mi aspettavo
Da che cosa sei deluso?
Dalla vita in generale… mi sono fatto trascinare dalle truppe di Napoleone, che ho accolto anche io come liberatrici. Sono stato un illuso. Mi sono addirittura arruolato, ma poi è arrivata la delusione più grande con il trattato di Campoformio.
Dopo quella delusione cosa hai deciso di fare?
E’ iniziato per me un lungo esilio che mi ha portato persino in Inghilterra in posti lontani dalle città. Nella natura, infatti, io trovo un’amica, una protezione. Trovo serenità e in questa natura selvaggia fuggo dalla sottomissione del di questo “reo tempo”. Fuggo dalla realtà attuale e dai valori borghesi che hanno corrotto la mia epoca.
Per quale motivo tuo fratello è venuto a mancare ?
Lui ha subito le mie stesse delusioni ma non ha avuto il coraggio di reagire… ha deciso di togliersi la vita a causa dei debiti di gioco.
Cosa pensi del suo tragico destino?
Nel mio sonetto do voce all’immenso sconforto per la sua morte, ma penso anche al mio tragico destino
Perché lo definisci tragico?
Ormai non ho nulla a cui tenere… Lei come la definisce un’anima sperduta, che si rifugia nella poesia per non pensare al presente? Questo sono io, sono in fuga e non rivedrò mai la mia patria. Io sono la TRAGEDIA.
Quanto è importante per te la tua patria?
Definirla importante è troppo poco per rappresentare l’affetto che provo per lei. Io la amo a tal punto che le ho dedicato un sonetto: “A Zacinto”. Questo componimento ricorda gli anni felici passati nella mia isola e permette di distogliere per un po’ il pensiero dal presente …
Perché odi profondamente questo Presente ?
Borghesia, denaro, affari, materialismo, vita laica … dove sono quei valori di un tempo come l’onestà, la spiritualità. Questo mondo attuale si basa su ciò che possiedi, questa società mi ha fatto perdere la donna che amavo e che nel mio romanzo epistolare, “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, è rappresentata un po’ da Teresa: ama Jacopo, ma sposa un borghese perché la propria famiglia era in decadenza e aveva bisogno di denaro… Ecco il perché odio questa società.

Ringrazio Ugo Foscolo al quale svelo che dopo secoli tutti ancora lo ricordano, perché un compositore di questo genere non può essere “seppellito”, verrà sempre ricordato non solo per le sue poesie ma anche per le sue idee…in fondo, ha vinto la sua battaglia: la poesia lo ha reso immortale!

S. Marcattili

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Fantaintervista a… Lord Byron

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Vi è un piacere nei boschi inesplorati
e un’estasi nelle spiagge deserte,
vi è una compagnia che nessuno può turbare
presso il mare profondo,
e una musica nel suo ruggito;
non amo meno l’uomo ma di più la natura
dopo questi colloqui dove fuggo
da quel che sono o prima sono stato
per confondermi con l’universo e lì sentire
ciò che mai posso esprimere
né del tutto celare.

 

Questa poesia è stata scritta dal celebre poeta George Gordon Byron, meglio conosciuto come Lord Byron. Ho l’onore, questa sera, di poter parlare con lui e rivolgergli alcune domande su una delle sue opere letterarie più famose.

La tematica di questo componimento è la natura, perché l’hai scelta?
Amo i luoghi che nessuno ha mai visto perché sono sicuro che lì nulla può disturbarmi, è come se in questi luoghi io mi lasciassi alle spalle tutta la società che si è creata ora.
Come vedi la vegetazione?
È l’infinito. Quando guardo il mare non riesco a vedere la fine e mi perdo immaginando di riuscire, un giorno, ad attraversare quell’immensità. Ma sono troppo piccolo rispetto al mondo, quindi mi rendo subito conto che non potrò mai.
Nella poesia scrivi che non ami meno l’uomo, ma di più la natura. Che cosa significa?
Quello che c’è scritto: non odio l’uomo ma preferisco la natura, preferisco rifugiarmi in essa, con la quale posso sfogare tutto quello che cerco di nascondere davanti alle persone, anche se non sempre ci riesco.
Cos’è per te il limite?
Un’illusione. Il limite è una cosa che c’è ma che allo stesso tempo non c’è. Come dicevo prima, il mare se lo guardi non ha un limite, anche se poi sai che un limite c’è.
Quando sei solo come ti senti?
Bene, è come fondermi con l’universo con tutto quello che è infinito. Mi sento un titano, un ribelle. Sento che posso sfidare la natura stessa.
Quando scrivi ”una musica nel suo ruggito” ti riferisci al mare, ma che intendi?
Per me il rumore del mare è una melodia che mette pace nel cuore e tutto il dolore è alle tue spalle.
Quando senti la necessità di fuggire?
In ogni momento, ogni volta che sento di non poter nascondere il mio dolore per quanto è forte. Come scrivo nella poesia, non posso del tutto celare quello che provo.
Quando capisci di non poter cambiare nulla, come ti senti?
Piccolo, piccolissimo rispetto all’immensità del mondo. Mi rendo conto che non posso cambiare nulla e mi deprimo.
Grazie per la disponibilità, Lord Byron. E’ stato un onore intervistarti.
Grazie a te. Alla prossima!

di M. Cerquetti

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